Nasce a Catanzaro il 7 giugno del 1972, sul tavolo della casa nella quale trascorre i primi diciotto anni di vita e dove rimangono i suoi ricordi più belli: quelli di un’infanzia felice e spensierata. Una casa dove, dice, “c’è ancora una biblioteca di 4.500 volumi che papà ha curato negli anni, amandola come fosse un’estensione di se stesso”.
Dopo la maturità classica, si trasferisce a Roma, per studiare alla Sapienza Letteratura Italiana moderna e contemporanea. La sua spensieratezza si spezza definitivamente quando la madre, insegnante di Lettere al Liceo Scientifico prima, alle scuole medie dopo, si ammala di depressione bipolare atipica ed ha un episodio talmente acuto da essere ricoverata per circa dieci giorni in una clinica psichiatrica. Episodio che segnerà per sempre la vita di Danila, nonostante adesso sua madre, sotto costante cura, stia bene.
Si laurea in tempi relativamente brevi, con una tesi intitolata “Mario Tobino, tra letteratura e psichiatria”. Il relatore è Walter Pedullà, critico letterario e in seguito per un breve periodo presidente della Rai. La correlatrice, Mirella Serri è anche lei una critica letteraria e una scrittrice, di saggi letterari e non solo.
Dopo la laurea, Danila supera le prove per entrare al master in Giornalismo della LUISS, ottenendo in seguito una borsa di studio che ripagherà suo padre “almeno di questa spesa”, dice lei. Contemporaneamente trova un impiego al Giornale d’Italia, dove lavora per un anno in nero e senza ricevere compenso. In seguito viene assunta con regolare contratto da praticante e, nel 2003, dopo l’esame di Stato, diventa giornalista professionista.
Danila scrive e pubblica su vari quotidiani e mensili calabresi sin da quando aveva 16 anni. Dopo l’esperienza al Giornale d’Italia, che definisce “formativa ma devastante”, rimane senza lavoro per quattro anni, durante i quali scrive sporadicamente per la rivista del Gambero Rosso e a volte come corrispondente da Roma per il Quotidiano della Calabria.
Nel 2006 trova lavoro come addetta stampa di una deputata dell’allora Margherita, esperienza che ora giudica “paradossale” (testuale). “Mi ha insegnato che a volte nella vita basta fare gli occhi dolci, si fa per dire, per fare strada”. L’unica cosa che ricorda positiva in quel periodo è la collaborazione con l’ufficio stampa della Margherita, che, dice, “mi ha fatto capire in poco tempo una marea di cose su quel tipo di lavoro”.
Nel 2007 viene assunta nell’ufficio stampa di un gruppo parlamentare alla Camera dei deputati, dove rimane fino alla fine della sedicesima legislatura. Ora “vivo” dice ridendo. “Il mio lavoro lì dentro, oltre ad essere un inferno, non mi lasciava il tempo di respirare”. “E scrivo – continua – sempre, qualunque cosa, su qualunque argomento m’interessi. Il bello è che posso farlo in libertà, senza sottostare alle opinioni di nessuno”.