Nella mente di Lidia
20 Marzo 2016Racconto inedito – prima parte
E’ un universo sconfinato, la mente umana. Il nostro cervello ha, al suo interno, uno spazio talmente vasto, che, al confronto, si perdono gigantesche distese di prati, l’enormità del mare, la infinità del cielo.
Lidia, per difendersi dagli spazi infiniti della sua mente, si è chiusa in casa da una settimana, la sua bella casa sul mare. Non mangia, Lidia, da sette giorni. Non dorme. Ha paura, è ossessionata dall’idea di essere spiata. E’ sicura di avere telecamere in ogni angolo della città sia sua abitudine frequentare. Solo a casa si sente al sicuro. Non avverte malessere, ma una grande stanchezza. Sostiene con forza di stare bene.
La conosco da quando era in fasce, Lidia. Non sta bene, affatto. I suoi occhi guardano lontano, non ascolta ciò che le dico, cerca di tranquillizzarmi, come fosse lei il medico ed io la paziente. Non ho mai desiderato, come in questo momento, di aver preso una specializzazione in psichiatria. Sono solo un medico generico, non ho gli strumenti per comprendere cosa stia succedendo in quella mente gigantesca che si racchiude dentro a un viso piccolo piccolo, circondato da capelli biondi da sembrare miele, scarno, ora, sofferente, tirato, impaurito, non ho le competenze per vedere dove vedono quegli enormi occhi verdi, tanto, troppo aperti.
-Chi siamo noi – mi dice – per pensare di poter decidere della nostra vita, quando essa ha una tale forza da decidere per se stessa e per noi tutti
Quasi non credo alle mie orecchie, perché la sua famiglia mi ha detto che sragiona, mentre mi trovo davanti una persona con capacità di ragionamento addirittura superiore al normale. Mi viene in mente che questi episodi di follia, perché tale è, comunque la si voglia definire, racchiudono in sé dei picchi di genialità, delle luminosissime perle di saggezza. Inizio a domandarmi dove sia la ragione, sempre che essa risieda da qualche parte, in casi del genere. Non sarebbe, forse, più sano lasciare Lidia al suo delirio liberatorio, ai pensieri che sta usando per tenersi a galla rispetto ad un dolore evidentemente eccessivo che rischia di soffocarla?
-Lidia, tesoro – le dico – ora non si tratta di prendere decisioni per la vita. Ora dobbiamo solo uscire da questo episodio che ti fa stare male – alla fine opto per la ragione dei familiari
-Io sto bene, dottoressa. Volete capire, tutti quanti, che sto bene? Adesso, la prego, mi scusi, ma ho tanto bisogno di riposare.
Sono stata chiamata da sua sorella, Virginia, la più grande. Una madre non ce l’ha, Lidia. L’ha avuta solo nell’infanzia. E’ morta di cancro quando lei aveva appena quattordici anni. Suo padre è costretto in casa da un parkinsonismo vascolare che non gli consente di muoversi. Non ha un uomo, Lidia, nonostante i suoi quarantaquattro anni, vive sola ed è, profondamente, sola. Realizzata solo, e molto, nella professione, è un ottimo avvocato. Di affetti, oltre a quello, semi squartato dalla malattia, di suo padre, ha quello dei due fratelli più grandi: Virginia e Paolo. Sono stati loro due a preoccuparsi per lei.
Eppure, nell’arco di sette giorni, non sono riusciti a smuovere di un millimetro la sua convinzione. Sto bene, continua a dire.
Per chi fosse interessato, pubblicherò nei prossimi giorni la prosecuzione…
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