Lavoro: 30enne precario suicida “Questa generazione ci ha rubato la felicità”
7 Febbraio 2017Lavoro. Michele, 30 anni, friulano, precario, si toglie la vita lasciando una lettera shock, riportata oggi dal Messaggero Veneto: “Sono stufo di colloqui di lavoro inutili… stufo di essere messo da parte… Da questa realtà non si può pretendere niente… Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare… P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza, a noi stronzi”
Lavoro. Trent’anni, Michele aveva solo trent’anni e ha deciso, lucidamente, stando alla lettera che ha lasciato, di privarsi di una vita in cui si era stufato di soffrire, di sopravvivere, di non poter fare progetti perché sul lavoro riceveva solo rifiuti e “di no si muore”, come lascia scritto, tra le altre, varie, sensatissime osservazioni. “Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile”, scrive ancora e specifica: “Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità”.
Sono parole, quelle di Michele, di una lucidità sbalorditiva, che fa pensare come davvero abbia pianificato il tutto, pur non avendo niente di sbagliato in testa.
Chi scrive ha sempre avuto la ferma convinzione che, per arrivare ad un gesto estremo, quale il suicidio, si debba soffrire di gravissimi disturbi mentali. Michele ha fatto crollare questa certezza. Il suicidio di Michele è figlio del malessere in cui siamo sprofondati, i giovani soprattutto, figlio di governi sbagliati e troppo poco attenti al bene comune. La morte di Michele è conseguenza anche di una frase buttata lì, con successive scuse, dal ministro del Lavoro in persona, che gettava fango sui giovani disoccupati. Non per niente, alla fine della sua lettera, Michele scrive: “Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza, a noi stronzi”.
Il gesto di questo giovane ci impone una seria riflessione, che i signori della politica, naturalmente, sfioreranno confidando sulla bravura dei propri uffici stampa. Ma qui siamo in un terreno minato, perché il suicidio di Michele rappresenta l’insoddisfazione di un’intera generazione e non solo. Il malessere di questo paese si sente a pelle, per chi ci vive, certo non per chi vive nel mondo dorato del potere. Chi cammina per le strade, chi entra nei negozi, chi va a far la spesa, chi paga le bollette, soffre di un malessere che avverte anche attorno a sé, fra la gente che ha subito un furto, che è stata privata della felicità, come scrive Michele, che dice ancora: “Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile. A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo”.
Ed allora, noi, che ce la sentiamo di affrontare tutto questo, dovremmo iniziare ad avere il diritto di pretendere, di pretendere, quanto meno, una classe dirigente pulita, corretta e capace. Anzi, il gesto di Michele ci impone di farlo, perché il suo suicidio per venir meno ad un mondo ostile sia l’ultimo, perché il Paese riprenda a funzionare, perché Michele si è tolto la vita per colpa della classe dirigente che, di fatto, noi continuiamo ad accettare. Ed un secondo suicidio come il suo, la perdita di un’altra giovane vita, sarebbe anche colpa nostra. Un popolo di pecore non può pretendere un governo di lupi…
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