Bianchi, intervista a giornalista pagata in nero
8 Febbraio 2016“E’ stato il direttore di un quotidiano calabrese con cui collaboravo sporadicamente a mettermi in contatto con lei, una persona seria, che, dopo l’episodio, si è sentito in dovere di chiedermi scusa” E’ così che la ex collaboratrice di Dorina Bianchi, pagata in nero dalla allora deputata della Margherita, inizia a raccontare quella storia, che, dice “mi ha fatto capire molte cose sul mondo della politica e sulla superficialità della gente in assoluto”.
Che intendi per superficialità?
“Dorina. Ne è la rappresentazione vivente. A parte che veniva in ufficio al volo e non mi stava neanche ad ascoltare, quando le sottoponevo questioni su cui ritenevo dovessimo intervenire. Rispondeva: va bene, va bene, ora devo scappare. Poi scoprivo che doveva scappare perché aveva appuntamento dal parrucchiere”
Rido. Ma stai scherzando?
“No no, sono serissima. Ma c’è di peggio. Una volta mi ha detto: secondo te non è sufficiente un quotidiano al giorno, in modo da risparmiare un po’. Io le ho risposto che, se non avesse potuto permettersi lei di comprare almeno sette quotidiani, l’avrei fatto io. E lei: va bene, va bene, ora ci organizziamo”
Lei non leggeva nemmeno i giornali?
“Dorina? Ma quali giornali. A fatica le sintesi che le facevo sugli argomenti più importanti”
Ti faceva lavorare molto?
“Mi chiamava a tutte le ore, anche a mezzanotte, sabato, domenica. Non avevo tregua”
C’è un episodio che ricordi in particolare di lei, che dia l’idea di che persona sia?
“Per la verità ce n’è più di uno, ma forse quello di Hermès è il più significativo”
Hermès? Cosa può avere a che fare Hermes con il lavoro che facevi per lei?
“Un pomeriggio, verso le sei, io ero già distrutta, è arrivata in ufficio e mi ha chiesto di accompagnarla a fare una commissione urgente. Camminando mi ha spiegato che doveva intervenire in Aula la settimana successiva ed aveva un vestito nero. Le serviva un foulard per ravvivarlo”
E tu cosa c’entravi con questo?
“Non lo so, credo fosse una specie di modo per tenermi buona, tentava di essermi amica. Siamo andate dritte da Hermès in via Condotti e in cinque minuti ha scelto. 500 euro, se non sbaglio, o qualcosa del genere. Però non aveva i soldi per comprare i giornali…” Sorride
In tutto questo tu non avevi un contratto?
“No. Rinviava, di giorno in giorno. Mi diceva di avere pazienza. E ne ho avuta fin troppa. Finché una sera, a fine giornata, dopo due mesi di lavoro, è arrivata in ufficio. Io ero sfranta dalla fatica, avrei pagato oro per fare una doccia, non riuscivo a lavarmi i capelli da una settimana circa. Lei se ne arriva, fresca di parrucchiere. Si siede davanti alla mia scrivania e mi dice: sai gioia, ho parlato con il mio commercialista, mi ha detto che non posso consentirmi di tenerti. Sei una professionista, mi costeresti troppo. Ero così frastornata, che non sapevo cosa dire, quindi rimasi in silenzio ed iniziai a raccogliere le mie cose. Poi mi disse: questi sono per te e mi diede una busta della Camera dei Deputati, con dentro questa sorta di mazzetta. Certo non mi misi a contare. Sono 1500 euro, disse, va bene no? Glieli avrei sbattuti in faccia, ma non potevo. Era da due mesi che non vedevo un soldo”
Posso chiederti perché non vuoi che venga fuori il tuo nome?
“Deontologia professionale. Solo questo, dovresti capirmi, sei una giornalista anche tu”
Ora cosa fai?
“Lavoro, guadagno e, soprattutto, mi tengo più lontana che posso dal mondo della politica”.
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