Morte Philip Roth, il suo genio vivrà per sempre
24 Maggio 2018Morte Philip Roth. I giornali lo definiscono “Voce d’America”. In realtà Philip Roth è molto di più
Morte Philip Roth. “Gli avrei fatto fare una risata (si rivolge al fratello morto prematuramente, ndr). Sarebbe l’estasi, allungare una mano e regalargli una risata, un corpo, una voce, una vita che abbia in sé almeno un po’ del divertimento di essere vivi, il piacere di esistere che perfino una pulce proverà ogni tanto, la gioia dell’esistenza, pura e semplice, di cui praticamente chiunque fuori da un reparto oncologico coglie almeno un bagliore ogni tanto, per quanto scarsa sia la buona sorte complessiva” (“Il teatro di Sabbath”). Ecco chi è Philip Roth: un genio dal lirismo internazionale, uno scrutatore attento dell’animo umano, un realista che fa i conti con le sofferenze della vita ed a volte ci scherza su.
“Ho scritto perché volevo vedere se ne ero capace” (https://www.corriere.it/). Ma Philip Roth è anche questo, supremo narratore della letteratura contemporanea, che risponde ad un’intervista uscita sulla “Lettura” del Corriere della Sera in modo schietto, mai troppo modesto, consapevole del proprio genio, eppure sempre pronto a mettersi alla prova, a sfidare quel genio stesso.
Come si faccia a ridurre una figura letteraria qual è la sua a “voce d’America”, davvero non comprendo, né tanto meno, capisco l’insistenza sul fatto che non abbia mai vinto il Nobel, cui pure lui stesso teneva molto e spesso si diceva amareggiato per non essere arrivato a prenderlo.
La sua arte, però, travalica qualunque confine, va ben al di là di qualsivoglia premio, compreso il Pulitzer Prize (http://www.pulitzer.org/) vinto nel 1997 per “Pastorale americana”.
“Ho vissuto 50 anni in una stanza silenziosa come il fondo di una piscina, in preda ad emozioni contrastanti, in una tremenda solitudine” ha detto in una delle ultime interviste, pubblicata dal “New York Times” (https://www.nytimes.com/). Dunque, la grande letteratura cui ha dato vita, che comprende un enorme numero di titoli, con capolavori quali, oltre “Pastorale americana”, il “Lamento di Portnoy”, “Lo scrittore fantasma”, “Nemesi”, “La macchia umana” (e mi fermo, perché citarli tutti richiederebbe uno spazio smisurato), la sua grande arte, dicevo, sembra essere scaturita dalla fatica, dalla sofferenza, dal sudore che caratterizza l’attività di ogni scrittore, anche l’ultimo degli sconosciuti.
Ed anche qui sta la grandezza di Philip Roth. È la sua innata maestria, letteraria ed umana, a consentirgli di partorire tutta la serie di capolavori che lo rendono immortale.
Pure attento al “sogno americano”, critico a volte nei confronti di esso, Roth va molto più a fondo nei suoi scritti, a volte estremi, sofferti, ma comunque, sempre, invariabilmente capolavori. Parla di sesso in modo quasi perverso, di politica, con un tocco spesso eversivo, senza mai peli sulla lingua. Philip Roth narra la società contemporanea, non solo quella americana, perché scava fino al fondo dell’esistenza umana, regalando al lettore un sorprendente idillio tra altissima scrittura e profonda sapienza.
Grazie, Philip Roth! Non sappiamo cosa sarà adesso della sua persona fisica, ma siamo certi, o, almeno, lo è chi scrive, che la sua opera ed il suo genio ci accompagneranno per sempre…
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