Il mio prossimo libro
8 Febbraio 2019Un libro, un semplice libro racchiude in sé mille fatiche. Allo stesso tempo pubblicare un libro è sempre un’enorme soddisfazione. Avevo rinunciato a pubblicare, nonostante la mole di materiale inedito che conservo. Ci avevo messo un punto, vista la situazione dell’editoria, vista la malafede degli editori, a meno che non si tratti di nomi noti e spesso lontani anni luce da qualsivoglia conoscenza letteraria. Se ti chiami Barbara D’Urso, però… Già, perché l’Italia è anche questo.
Ma questo è il Paese che non mi piace e dunque ho deciso di andare avanti. Alla fine, come diceva sempre mio padre, il lavoro duro viene fuori, viene fuori sempre. E mio padre non diceva mai sciocchezze. Dunque, incrocio le dita e vi propongo poche righe della prima storia di questo libro, una raccolta di 36 racconti. Storie di vita, di amore, di tradimenti, gioie, dolori, storie, sostanzialmente, sull’impotenza dell’uomo di fronte all’enormità dell’esistenza.
“Qualcosa di superiore”
36 racconti
di Danila S. Santagata
“Molti la chiamano Dio Misericordioso, altri natura, altri semplicemente destino;
comunque la si voglia definire, essa decide per noi, minuscoli esseri umani”
L’inevitabile
Ciò che deve succedere, succede. Ciò che è stabilito che accada, inevitabilmente, prima o poi, accadrà. Nonostante tutti gli sforzi perché le cose vadano in modo diverso, al di là di ogni preghiera, di ogni supplica, al di là di tutto ciò che è in nostro potere, se in un certo modo deve essere, così sarà.
Sono cresciuto in un paesino della Calabria, di cui in molti ignorano l’esistenza. Si chiama Canolo. L’aria è buona, dolce, fresca anche in agosto, la natura rigogliosa e generosa, con i suoi alberi, i suoi fiorellini che spuntano qua e là senza che nessuno si prenda cura di loro. È un po’ così che sono cresciuto io, in una semplicità che definire povertà sarebbe poco e senza che nessuno, a parte mia madre, quando poteva, si prendesse cura di me. Ho qualche ricordo del prima.
C’è sempre, nella vita delle persone, un prima e un dopo. Il mio prima era avvolto dall’aria angosciante che respiravo in casa, smorzata dalla frescura e dal chiarore del cielo, quando riuscivo ad andare fuori. Casa… Era una specie di capannone, dove il caldo, d’estate, nonostante non si sentisse fuori, rischiava di cuocerci ed il freddo, nei mesi d’inverno, ci paralizzava. Mio padre era un muratore. La sera rientrava, attorno alle sei, affamato e, se mamma non gli metteva immediatamente un piatto in tavola, iniziava ad urlare, sempre attaccato alla sua bottiglia – Questo è vino fatto in casa – mi diceva – assaggialo, non può far male. A me dava fastidio anche l’odore di quel vino e poi non volevo diventare rosso ed iracondo come lui. Mio padre, però, bene non stava. Tossiva continuamente ed aveva una smania perenne, come di chi nella vita non ha combinato nulla e cerca continuamente di rimediare. Parlava strascinando ogni parola, mio padre, anche quando diceva a mia madre “ti ammazzo”, era uno strascinare quasi incomprensibile: tiiiiiii ammazooooooo. Lì per lì non capivo. Compresi solo dopo, con il tempo. Io cercavo di non sentire quelle urla, che mi terrorizzavano. Andavo fuori, sul retro della casa, anche in pieno inverno, con due o tre coperte addosso e leggevo. Non facevo altro che leggere. I libri, li prendevo in prestito alla biblioteca di Locri e non so cosa avrei dato per poterli tenere. Era stato mio nonno materno ad insegnarmi quanto è importante leggere, quante cose si imparano, quanto si può volare alto. – Niente e nessuno – mi diceva – potrà mai farti volare in alto come un libro.
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