Coronavirus, il lato umano dell’emergenza
12 Marzo 2020Coronavirus. È iniziato all’insegna della catastrofe, questo 2020. Già, perché, se ogni malattia rappresenta un disastro, questa pandemia è una vera e propria sciagura.
Le vite di tutti noi, per un motivo o per l’altro, sono state stravolte, alterate, distorte da quella che solo fino a ieri veniva chiamata epidemia. Ma corre veloce, questa apocalisse. E non credo il termine sia esagerato.
Il problema serio è che chi si ammala rischia la vita, è sottoposto a quarantena assicurata e, una volta guarito, corre il pericolo di riammalarsi. Ma la tragedia forse più seria è che il Coronavirus ci divide, ci costringe, giustamente, ad innalzare barriere tra un paese ed un altro, un comune ed un altro, una persona ed un’altra.
Questo blog è stato fermo per diversi mesi, per questioni mie personali che non sto qui a raccontare in quanto ritengo poco possano interessare chi legge.
Ma, di fronte a questa emergenza mondiale, non ho potuto rimanere in silenzio.
Le domande che ci poniamo più frequentemente lasciano il tempo che trovano. Avremmo potuto fare di più? Avremmo dovuto adottare prima le restrizioni che oggi ci tengono chiusi in casa ed impediscono addirittura a chi è fuori dalla propria città di farvi rientro? Serviranno sul serio, e quanto, queste misure varate proprio ieri dal governo?
La mia opinione, per quello che può valere, è molto chiara. Le restrizioni sono arrivate tardi. I controlli sono insufficienti. I meravigliosi parchi della Capitale sono ancora meravigliosamente pieni di mamme con bambini che giocano. Così, come niente fosse.
Sarebbe fantastico se niente fosse, ma il problema, di dimensioni esponenziali, esiste. La gente dovrebbe capire che il sacrificio cui siamo chiamati è indispensabile per tentare di superare l’emergenza.
A nessuno fa piacere star lontano dai propri cari, non poter abbracciare un amico, privarsi di un aperitivo in compagnia. Ma cos’è questo, rispetto al rischio di apocalisse totale?
Forse se ciascuno di noi acquisisse un minimo di buon senso e responsabilità, chissà, fra un mese magari, potremo stare nuovamente con parenti, amici e riprendere a fare vita normale.
E ricordiamo sempre che i nostri nonni erano mandati alle armi, sotto le bombe. A noi viene solo chiesto di stare a casa.
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