Stato-mafia. Procura Catania, Csm nega l’ingresso a Niccolò Marino: sa troppo sui legami tra mafia e Stato
27 Marzo 2022Dalla parte di Marino, Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita
Stato-mafia. La spiegazione ufficiale è che Marino non poteva concorrere per la procura di Catania a causa di una sentenza che avrebbe condannato alla censura il magistrato per omessa iscrizione di notizia di reato. Parola niente popò di meno che di Fulvio Gigliotti, membro laico del Csm, in quota M5S.
Quella ufficiosa, invece, da tenere sotto un fitto strato di lenzuola d’omertà, è che Marino è venuto troppo a stretto contatto con notizie comprovate di relazioni tra la mafia siciliana e le alte sfere dello Stato. Personaggio, dunque, non scomodo, ma proprio impresentabile in un paese dove onestà e verità vanno tenute il più possibile lontane dagli incarichi di potere. Ed è così, infatti, impresentabile, che hanno fatto apparire Marino, per non farlo salire al ruolo di procuratore della Repubblica di Catania. Una figura moralmente e giuridicamente troppo eretta per non essere tenuta ai margini di una giustizia che nel nostro paese non esiste, se non con il suffisso “in”, ben evidenziato, davanti.
La scusa trovata fa acqua da tutte le parti, tanto che una delle figure giuridicamente più autorevoli ed integerrime sotto ogni profilo del Csm, Nino Di Matteo, ha affermato “che non può avere un effetto preclusivo una sentenza che non è passata in giudicato”. Come quella, appunto, che riguarda Marino.
Infatti, altro magistrato con la M maiuscola, tra i pochi in Italia, Sebastiano Ardita, ha ribadito che non sussisteva “nessuno ostacolo formale. Perché la sentenza di cui si parla non è passata in giudicato” ma è stata “impugnata e la Cassazione a breve darà il suo esito”.
Morale della favola, il Csm alla fine ha optato per Fabio Ignazio Luigi Scavone, attualmente Procuratore aggiunto al Tribunale di Siracusa, figura che, per carità, sarà rispettabilissima, ma non pericolosa quanto Marino per uno Stato che ha ancora troppo da nascondere.
E soprattutto, dunque, morale della favola, in questo paese si sarebbe fatto di tutto per non far salire un gradino in più ad una figura che si è sempre distinta per autorevolezza, indipendenza ed imparzialità, ad un magistrato che, come sottolinea ancora Ardita, avrebbe avuto un curriculum più che degno per ricoprire quella carica che gli è stata sottratta.
Nino Di Matteo ha evidenziato come il magistrato Marino abbia lavorato nel territorio catanese, cioè in una zona in cui erano presenti e operavano “i cosiddetti cavalieri del lavoro”, rappresentanti di “quella mafia che, seppure non articolata e potente come quelle palermitane, trapanesi e agrigentine, è stata la più attenta e capace di penetrare il tessuto economico e le pubbliche amministrazioni”.
Marino, ha proseguito Di Matteo, è un collega che “ha affrontato alla Dda di Catania gli aspetti principali di Cosa Nostra catanese e gli aspetti principali dell’intreccio dell’attività di Cosa Nostra catanese con la politica”.
Ma siamo in Italia, signori e, se sono finiti i tempi delle stragi, non sono ancora remoti quelli delle intimidazioni (vedi Di Matteo mentre indagava sul processo Trattativa Stato-Mafia) e soprattutto è arrivato il vento che va contro i magistrati troppo seri, coscienziosi, contro le figure giuridiche che non hanno paura di sollevare quel velo di omertà di cui lo Stato ha ancora fortemente bisogno. Quello stesso velo che ha consentito agli alti gradi di polizia e carabinieri di catturare Riina e Provenzano solo quando alla politica non servivano più a piede libero. Quello stesso, abominevole, velo di omertà, che ancora fa ritenere ai più Matteo Messina Denaro latitante, solo perché ancora, a questo Stato becero e lurido, fa comodo che il boss sia in libertà.
E sì, siamo in Italia quell’Italia che non ci piace, quella che teme la verità che noi, invece, vorremmo urlare a gran voce, per fare, una volta per tutte, una seria pulizia che, invece, ancora, purtroppo, appare quanto mai lontana.
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