Aborto, 23 ospedali le negano intervento. Inciviltà tutta italiana
2 Marzo 2017Aborto. È il Gazzettino del Veneto a raccontare la storia di una quarantenne, madre di due figli, che ha dovuto decidere di interrompere una gravidanza inattesa, chiedendo di restare anonima. “Mi negavano la disponibilità nei modi più disparati: non ce la facciamo, siamo già al limite, non riusciamo a stare nei tempi, ci sono le vacanze, sono tutti obiettori”
Padovana, quarantenne, la chiameremo Anna: scopre di essere incinta a metà dicembre. “Uso la spirale e mai mi sarei aspettata” una cosa del genere. Non era prevista. La donna si sarà trovata nel panico di dover ricorrere ad un intervento cui nessuna donna si sottopone volentieri. “Sono esperienze – ci dice Angela, anche lei costretta ad abortire, anni fa – che non ti abbandonano. Le ricordi a vita”.
“La mia è stata una scelta compiuta a malincuore” confessa Anna al Gazzettino “ma per attuarla ho dovuto contattare altri 22 ospedali, e alla fine di questo girovagare, sono tornata al punto di partenza”.
Il dato raccapricciante, se non lo fosse già, di per sé, questa storia, è il fatto che sia avvenuta in Veneto, una realtà sanitaria ai vertici delle classifiche nazionali, ma dove la percentuale degli obiettori sfiora il 77 per cento, stando a quanto afferma il rapporto 2016 del ministero della Salute.
Fatto sta che Anna, già al secondo mese, si è vista persa, con il tempo che stringeva, visto che l’interruzione deve essere attuata entro i tre mesi secondo la legge 194. Una legge che, a quanto pare, nella grande maggioranza dei casi, non viene rispettata e, quando succede, secondo testimonianze dirette, il personale degli ospedali fa sentire chi è costretto a ricorrervi come un mostro, un assassina, una donna da buttare via. “Da qualcuno – dice Anna – ho ricevuto risposte cortesi, ma ho trovato anche chi mi ha dato giudizi non richiesti su un’esperienza che non conosce”. Esperienza devastante, per qualunque donna, che per Anna si è trasformata in un vero e proprio calvario.
La “salvezza” è stata la Cgil padovana, cui alla fine la donna si è rivolta. “So che hanno sempre fatto una battaglia per l’applicazione di un diritto – dice – Mi hanno aiutato a sbloccare la situazione, proprio a Padova dove mi avevano detto che non c’era posto”.
L’interruzione della gravidanza alla fine è avvenuta nei termini di legge. Ma per Anna è stata ancora più dura di quanto sia, di per sé, per qualunque donna. “Non dimenticherò mai la mancanza di professionalità e di umanità che ho vissuto sulla mia pelle – dice, infatti – Anche chi si è prodigato per me, ha allargato le braccia confessando di non sapere da che parte girarsi”. “Mi domando – aggiunge – che senso abbia promuovere una legge per dare diritto di scelta e poi non mettere nessuno nelle condizioni di farlo. Lo trovo offensivo, inutilmente doloroso. Io il colloquio con lo psicologo l’avevo già fatto, avevo chiarito le mie motivazioni, i conti con me stessa li avevo già chiusi, la struttura pubblica doveva garantire l’applicazione della normativa”.
Doveva sì, avrebbe dovuto. Ed in un paese civile sarebbe stato così, ma, com’è evidente, non nella nostra bella Italia, dove di civile, ormai, resta sempre meno.
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