Aborto clandestino depenalizzato: e la 194?
28 Febbraio 2016Il governo ha depenalizzato l’aborto clandestino, innalzando la sanzione per chi ricorre all’interruzione di gravidanza clandestina dai poco più che simbolici 51 euro a 10mila euro.
Che si sia trattato di “gravissimo errore”, come sostengono molte associazioni femminili, o di una norma approvata con cognizione di causa, è un abominio, soprattutto alla luce del tema, delicato di per sé.
Chi scrive, leggendo la notizia, non voleva credere ai suoi occhi e ritiene questa mossa una vergognosa indecenza.
Le donne che ricorrono all’aborto, lo fanno quasi sempre con sofferenza acuta. Già negli ospedali, dove la pratica è del tutto legale, esse vengono trattate come assassine, come chi quasi non ha diritto ad assistenza medica ed infermieristica.
Figuriamoci cosa accade durante quelle pratiche che hanno tutto il sapore dell’800 ed in cui la donna corre seri rischi di salute.
Una pratica da inserire fra i reati perseguibili con il carcere. Altro che depenalizzazione.
A questo punto, mi permetto di sottoporre a te, mio unico lettore, un brano del mio primo romanzo, “Dal suo punto di vista”; tratto da una storia vera, dove si parla di una donna che va in ospedale ad abortire, tra sofferenze atroci e senso di squallore totale.
“Dimmi almeno se hai avuto paura, com’è stato, quanta gente c’era in sala operatoria”.
Cerco le parole per dirle l’orrore che è stato, l’angoscia che ho avvertito, per quanto sbiadita dal senso di confusione che non mi ha mai abbandonata.
“Lalla” mi sollecita.
“Non ho avuto paura per niente, senso di squallore più che altro. Quando ci hanno portato via da qui, ci hanno fatto scendere per delle scale, non so bene, non mi ricordo, poi ci hanno parcheggiate in una piccolissima stanza, eravamo tutte insieme, quelle che vedi qui. Era una specie di bagno senza sanitari, con delle sedie attaccate a due delle pareti. Dopo un po’ è arrivata l’infermiera a chiamare la prima di noi, io ero la penultima”.
“Avete parlato fra voi”.
“Non so quanta verità sia uscita fuori, so solo che ho sentito storie sconcertanti e di ognuna di quelle ragazze mi sono chiesta più di una volta quale assurda disperazione potesse averle portate a prendere questa decisione, di cui nessuna sembrava davvero convinta”.
Parlo pianissimo, un po’ per non farmi sentire dalle altre, un po’ perché mi sento priva di energie… E dire che, nonostante la potenza delle parole, non credo di essere riuscita a darle il senso di quel tempo indefinito trascorso in una minuscola stanzetta vuota, piena solo di anime perse imprigionate dentro a corpi floridi.
“Mal comune mezzo gaudio, dicono, per me condividere l’attesa con quelle ragazze è stata una tortura. Non so neanche i loro nomi. Ci siamo raccontate un mare di cose, ma nessuna di noi ha detto il suo nome…”.
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