Aborto, il dolore di una madre
30 Marzo 2016In auto verso Roma – Terza ed ultima parte
Dopo la prima ecografia, quell’angelo che chiamano dottoressa mi fa una fiala di Toradol, ma i dolori non passano.
“Ci vuole un pochino – dice – deve avere ancora un po’ di pazienza. Si sdrai qui con noi, starà meglio, solo, mi perdoni, ma l’unico posto che ho è questo”. Mi mostra un lettino accanto al quale, su due poltrone ci sono due donne di cui non ricordo i volti, ma solo le pance che sembrano dover scoppiare da un momento all’altro e i lamenti. Così è disumano, io non ce la faccio più, ma una deve morire per avere un bambino. Gli vorrei dire che il mio, di bambino, è già morto, che anche io sto morendo di dolore, ma senza l’attesa di un fagottino che sia l’una che l’altra a breve si troveranno tra le mani. Non dico niente. Cerco di mandare la testa altrove, ma dove? Quale pensiero mi può alleviare adesso? Quale? Fernando, che sta fuori come se niente fosse? Azzurra, posso pensare a lei che non mi lascia mai sola. A mamma, che stamattina quando le ho detto cosa era successo cercava di soffocare le lacrime, mamma sente quello che sento io. A papà, penso a papà che stamattina, dopo aver saputo da mamma, mi ha chiamato e mi ha detto te ne devi fottere, mentre si sentiva benissimo la voce di un pianto soffocato. Penso a tutto il bene che ho attorno. Non basta. Ora i dolori stanno passando, la devastazione interna resta, ma cresce, con essa, la consapevolezza di aver trovato, ancora una volta, l’uomo sbagliato.
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