Alfredino Rampi. L’Italia rimane senza un eroe. Morto Angelo Licheri, l’uomo che tentò di salvare il bambino
23 Ottobre 2021Alfredino Rampi. Lo scorso martedì il nostro paese si è svegliato senza un eroe: è morto, a 77 anni, Angelo Licheri. L’uomo, che di Angelo non aveva solo il nome di battesimo, da anni, a causa di una invalidità legata al diabete, viveva in una casa di riposo fuori Roma
Alfredino Rampi. Licheri faceva parte dei circa 21 milioni d’italiani che seguirono la drammatica vicenda della lotta tra un bambino ed un buco nero da cui era stato risucchiato, in tv, col fiato sospeso, nella speranza di un lieto fine che non arrivò mai. L’uomo, tanto piccolo di statura, quanto grande di animo, dopo aver pensato che forse sarebbe riuscito nell’impresa, dietro le urla della moglie, che gli diceva: “Tu sei matto”, prese l’auto e da Roma, dove abitava, si recò sul luogo.
Era un inferno, un buco nero che più nero non si può, profondo più di 60 centimetri, dove il piccolo Alfredino, soli 6 anni, era caduto e nessuno era riuscito a tirarlo fuori. Licheri si fece avanti, non volle sentire niente di quello che i vigili del fuoco gli dicevano, tentando di fargli capire che era una follia. Dunque, non solo nessuno glielo chiese, ma addirittura tutti gli remavano contro. La voce interiore di questo eroe, però, vinse su tutto, quella voce che resterà per sempre nella nostra memoria, come il piccolo la cui vita rimase spezzata in quel pozzo.
Un vero e proprio eroe, un cuore di grandezza illimitata, quello di Licheri.
«Il bambino era a 64 metri di profondità», disse «gli ho tolto il fango dagli occhi e dalla bocca e ho cominciato a parlargli, dolcemente. So che capiva tutto. Non riusciva a rispondere ma l’ho sentito rantolare e per me era quella la sua risposta. Quando smettevo di parlare rantolava più forte, come per dirmi: continua che ti sto ascoltando. Dopo vari tentativi andati a vuoto, l’ultimo che ho fatto è stato prenderlo per la canottierina, ma appena hanno cominciato a tirare ho sentito che cedeva… e allora gli ho mandato un bacino e sono venuto via. “Ciao piccolino”».
L’Italia, sempre incollata alla diretta Rai, rimase commossa da quelle parole. E come altro avrebbe potuto essere?!
“Angelo è magro e brevilineo e per questo riesce a infilarsi in quell’inferno, quello che, mi ha raccontato più volte, non ha mai liberato i suoi sogni da quel buio, da quel gelo. E da un senso di colpa che gli faceva inumidire gli occhi ogni volta che parlava di quel momento”, racconta, in un’intervista a Walter Veltroni, pubblicata dal Corriere della Sera, Tullio Bernabei, uno degli speleologi che ha provato a salvare Alfredino dall’incubo di Vermicino e che parlò attraverso un microfono calato nel buio di quel buco nero con Angelo Licheri.
«No, non riesco a prenderlo» . Dalla voce di Angelo i soccorritori capiscono che è allo stremo delle forze e cominciano a tirarlo su. Deve essergli sembrato un viaggio infinito, dagli inferi, che non avrebbe mai abbandonato, pur di salvare quella tenera creatura, ad un fittizio Paradiso, un viaggio tra gli spuntoni di roccia che gli squarciarono la pelle e soprattutto la disperazione per non avercela fatta. Quando uscì all’esterno tutti applaudirono, ma lui aveva la morte nel cuore.
«Altro che cinquanta metri» dirà a Bernabei e poi, con un soffio di voce: «L’ho legato, rilegato, ma mi scivolava. Si lamenta solo, gli ho detto che se riuscivo a tirarlo fuori lo portavo in Sardegna con me…».
“Se ripenso ad Angelo, ora che non c’è più – dice Bernabei – mi torna agli occhi il momento in cui mi ha ripetuto piangendo quella frase. Lo rivedo in quell’ambiente spoglio, con la sua difficoltà di vivere e un assurdo senso di colpa. Mentre fuori c’era un assordante rumore, quel Martedì Grasso, lui stava scivolando nel buio, a rischio della vita, per salvare un bambino che non conosceva. “L’ho toccato, gli ho preso la mano. Ma mi è scivolato””.
“Ho cercato di raccontargli con dolcezza cose bellissime, che lo facessero un po’ sognare. Non sono stato capace di tirarlo fuori, non ce l’ho fatta. Non posso darmi pace”. La vita di Angelo, di nome e di fatto, si è spezzata lì, in quell’inferno, quel martedì grasso, in quell’istante. Il piccolo Angelo Licheri è stato e rimarrà sempre un grande italiano, un eroe che, morto due volte, vivrà per sempre nella memoria del Paese.
Acquista il mio libro: Qualcosa di Superiore