Boccassini: “Ero innamorata di Giovanni Falcone”. Per vendere un libro, infanga la memoria di lui e della moglie
8 Ottobre 2021Si chiama “La stanza numero 30”, l’autobiografia di Ilda Boccassini, magistrato in pensione. Evidentemente non le bastava la già immotivata sovraesposizione mediatica, tanto che l’ex giudice, oggi 72 anni, ha l’ardire d’infangare la memoria di Giovanni Falcone e di sua moglie, Francesca Morvillo, sul cui cadavere e ricordo passa senza remore, come un trattore sull’asfalto integro.
“Il mio era un sentimento profondo, ero innamorata della sua anima, della sua passione… “, scrive la Boccassini, ma questo è il minimo, tanto che il libro ha già scatenato discussioni da più parti.
“Cosa avrebbe riservato il destino a me e Giovanni, se non fosse morto così precocemente?”. Scrive ancora sul giudice, che conobbe negli anni ‘80 e del quale, come una ragazzina di liceo, subito pensò “comunque è un figo”. Scredita se stessa, Boccassini, oltre a gettare fango su una figura eroica e pulita, amante solo della verità e su sua moglie, altra passione di Falcone. Non sono pensieri e parole lusinghieri per un magistrato della Repubblica, ma questo è niente.
“Sapevo di non poter condividere con lui un cinema o una gita in barca, pur desiderandolo, ma non ero gelosa della sua sfera privata, né poteva vacillare la mia. Temevo che quel sentimento potesse travolgermi. E così in effetti sarebbe stato, se non lo avessero ucciso”.
E poi racconta della giornata al mare all’Addaura, nell’estate del ‘90, e di quando lui la invitò a tuffarsi. “…io pensai alla messa in piega appena fatta. Pensieri da donna che non mi fermarono e lo raggiunsi. Giovanni prima mi prese la mano, poi la lasciò e cominciammo a nuotare verso l’ignoto…”. Un ignoto pessimo gusto, dottoressa Boccassini, che dice ancora “a Giovanni piacevano molto i miei riccioli. Quante volte mi ha detto che i miei occhi erano bellissimi”. Non sappiamo quanto ci sia di vero in queste rivelazioni, sappiamo bene, però, che mettono gravemente in discussione una giudice che ha rappresentato la giustizia in molte aule di tribunale italiane e che da alcuni passi di questo libro viene fuori come una donna, non solo lontana anni luce dalla sua professione, ma anche di discutibile intelligenza.
E non le bastava. La Boccassini racconta ancora del viaggio fatto in Argentina nel giugno del ‘91, per interrogare il boss Gaetano Fidanzati. “Avevo anche un walkman con una cassetta di Gianna Nannini , che ho imposto a Giovanni per tutta la durata del viaggio. Alcune canzoni mi facevano pensare alla nostra storia e le ascoltai più volte, per ore, stringendomi a lui. In top class non c’erano altri passeggeri, eravamo soli in quel lusso rilassante, la nostra intimità disturbata solo dall’arrivo delle hostess. Rimanemmo abbracciati per ore, direi tutta la notte, parlando, ascoltando Gianna Nannini e dedicandoci di tanto in tanto ad alcuni dettagli dell’interrogatorio e ai possibili sviluppi dell’indagine . Che notte…». Che orrore, dottoressa Boccassini, ma non poteva lasciare in pace la figura di un eroe come Giovanni Falcone e quella di sua moglie, che lo ha realmente amato in vita, seguendolo fino alla morte. Perché, semmai, dottoressa, sono questi gli amori che meriterebbero di essere raccontati, non quello, ipotetico, che descrive lei e che appare più come un’infatuazione e che, soprattutto, se anche ricambiato, avrebbe fatto bene a tenere per sé.
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