COVID-19. Tra “ambrogini d’oro” a Ferragnez e il pensiero di Galimberti
17 Novembre 2020Sarà ricordato come l’anno peggiore del secolo, questo 2020. Si spera, almeno. Nel senso che il prossimo, per come stanno andando le cose, potrebbe essere peggiore. Ma sicuramente verrà annoverato tra i più folli.
Dalla speranza per Lombardia e Piemonte, che probabilmente si guadagneranno dalla zona rossa il passaggio a quella arancione, ai vari “ambrogini d’oro”, che vanno legittimamente ai sanitari caduti, ma anche alla coppia Fedez Ferragnez. Un po’ strano, dal momento che i non più neo sposi rappresentano il motivo per cui il tremendo momento che stiamo vivendo è un po’ meno tremendo proprio a causa loro. Della serie: i giovani sono già abituati al distanziamento sociale, perché ormai i social dividono chiunque. O forse non è per questo? Sembra, infatti, che l’influencer-imprenditrice e il rapper abbiano raccolto fondi per le terapie intensive del San Raffaele. In questo caso si sarebbe dovuto dare un “non ambrogino d’oro” a tutti quelli che, come loro, guadagnano miliardi di euro l’anno e non hanno dato un centesimo alla causa COVID-19. Ma così è, nell’Italia dove tutto funziona al contrario. E allora plausi ai Ferragnez e benvenga l’“ambrogino d’oro a loro”.
Altra, notevole, nuova di oggi è l’intervista, sul Corriere della Sera, a Umberto Galimberti, grande filosofo e pensatore dei nostri giorni, a cui viene chiesto ciò che sta accadendo, nel profondo delle coscienze, nel terremoto prodotto da questi mesi angosciosi.
“Nella prima parte, con il lockdown di marzo – dice Galimberti – quella che si era verificata era una sorta di angoscia. Che non è la paura, perché la paura è un ottimo meccanismo di difesa. Vedo un incendio, scappo. Ha come oggetto qualcosa di determinato. Mentre l’angoscia non ha qualcosa di nitido davanti a sé. La sensazione spiacevole di non avere più punti di riferimento. Sia Heidegger, sia Freud che neanche si conoscevano, o quantomeno non si erano reciprocamente letti, definiscono l’angoscia il nulla a cui agganciarsi. Durante la prima crisi l’angoscia per la minaccia costituita dal rischio del contagio — chiunque poteva infettare chiunque — ha generato angoscia e consentito, per reazione, una disciplina generalizzata. Oggi invece, dopo il rilassamento estivo, la stanchezza di essere confinati e una imprevedibile sorta di superficialità nel considerare il pericolo ci hanno fatto ripiombare nell’incubo. E la condizione allora è quella di spaesamento, non più di angoscia. Cosa dobbiamo fare, come ci dobbiamo comportare… Sabbie mobili. È un sentimento che oscilla tra il ribellismo, la rassegnazione e la disperazione non solo dei parenti di coloro che muoiono, ma anche di quelli che perdono il lavoro o chiudono il negozio o l’impresa. Ci si muove in un clima di assoluto spaesamento. Non abbiamo più il paesaggio in cui abitare la nostra vita quotidiana con una certa quiete. Abbiamo perduto la normalità del nostro vivere”.
“Questo spaesamento finisce per invocare in qualche maniera una forte richiesta di decisionismo”.
E qui siamo nei guai veri, perché non siamo forniti di una classe dirigente decisionista, bensì governati da pupazzetti che mirano a far incetta di voti.
L’intervista a Galimberti va avanti molto a lungo per riportarla in questa sede. Offre, però, spunti interessantissimi, che consiglio a chiunque di andare a leggere.
“Noi riusciamo a vivere molto spesso trascinati ma anche rassicurati nelle nostre abitudini quotidiane, e quando queste si interrompono cominciamo a chiederci chi siamo. Questa domanda sarebbe interessante se fosse davvero approfondita. Cosa siamo diventati? Siamo funzionari di apparati che quando si interrompono automaticamente perdono identità? E la nostra identità chi ce la dà? L’apparato? Conta di più il ruolo che noi abbiamo rispetto a chi siamo? Questi sono i sentimenti secondo me appena accennati nell’animo di ciascuno e poi rimossi, perché sono inquietanti. Sarebbe invece il caso che ciascuno, proprio in questa dimensione stagnante, cominciasse a pensare se la sua vita è stata quella che avrebbe voluto oppure se è delegata agli apparati che ti danno, oltre allo stipendio, anche l’identità e tutto il resto”.
“L’uomo è vittima di un ambiente che non tien conto della sua anima” (Charles Bukowski).
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