Covid-19, lo strazio di morire da soli
22 Novembre 2020COVID-19. La figlia di Mariano Trapani, mancato per Covid: è terribile morire da soli, ringrazio chi ha aiutato mio padre. Stefano Carli le ha parlato del suo vicino di barella e ha condiviso con la donna l’inferno che hanno vissuto
Covid-19. Due destini incontrati per caso, nella peggiore delle situazioni. Vicini di barella, al pronto soccorso di Garbagnate Milanese; allora non c’erano posti a sufficienza in reparto. “Mi ha telefonato una certa Maria Trapani, ha recuperato il mio numero non so in che modo. Mi ha chiesto se fossi io il vicino di barella di suo padre”. “Da quando è stato portato via da casa – dice la donna – non l’ha più visto. Voleva sapere come fossero stati i suoi ultimi giorni, se aveva sofferto, se era stato ben curato. Ho pianto, il cellulare in mano. Non riuscivo a smettere. Ho rivissuto quelle notti». Il racconto è di Stefano Carli, 64 anni. Sopravvissuto al Covid. La sofferenza arde ancora dietro la dura pelle di un uomo sorridente, pieno di vita, da sempre grande sportivo, ex manager. In attesa di venire ricoverato in reparto ha passato più di una settimana al pronto soccorso di Garbagnate, assaltato costantemente dall’arrivo di pazienti per lo più gravi, le file di barelle disposte lungo i corridoi, nelle salette, in ogni spazio disponibile tra le bombole d’ossigeno, il suono delle sirene e un delirante via vaidi medici e infermieri.
Il padre di Maria, Mariano, ha passato sette giorni e sette notti accanto a lui. Uno sconosciuto diventato improvvisamente una sorta di familiare. Legati dalla sofferenza. “Gli operatori schizzavano di qua e di là, vivevano nel sudore, bardati con le visiere e le tute fino alla punta dei capelli. Con quella drammatica concitazione era impossibile stare dietro a tutti — racconta Stefano —. Mariano aveva 74 anni, pochi più di me. Guardavamo ognuno attraverso la sfocatura del proprio maledetto casco, con il rumore assordante dell’ossigeno che impediva di sentire qualunque parola. Cercavamo di passarci con un mezzo sorriso tutta la speranza che avevamo in corpo”.
Vicino a loro, davanti agli occhi sofferenti, lì in pronto soccorso, sono morte due persone, “si è spenta d’improvviso una donna che aveva solo la mascherina, senza patologie pregresse, e un uomo in ventilazione che forse si chiamava Franco”.
Ricordi che segnano perché risvegliano le memorie più difficili da smaltire. “Una volta Mariano chiedeva disperatamente aiuto – continua Stefano – aveva una crisi respiratoria violenta, uno pneumotorace. Ho chiamato l’infermiere battendo forte il braccio contro il metallo, come potevo. Sono corsi quattro medici bravissimi e lì in barella, di fianco a me, l’hanno operato, gli hanno messo il drenaggio e il polmone si è espanso di nuovo”. Nel parlare con lui Maria ha avuto un po’ di conforto. “La morte totalmente soli è la più terribile che si possa immaginare, almeno papà ha avuto una persona sensibile accanto” dice.
Da tre giorni quel pronto soccorso, dove si stanziava con il casco, si avevano gravi crisi respiratori, quel pronto soccorso fatto di spazi improbabili dove si moriva, è tornato quasi alla normalità: la direzione è riuscita a convertire interamente a Covid quattro reparti ed il flusso degli arrivi è diminuito leggermente.
“Ricordo le notti insonni con il rumore assordante nel casco e lo strazio di un uomo che avrà avuto ottant’anni, e cercava la sua mamma. Aveva dolori atroci al petto, le infermiere mi hanno spiegato che i polmoni erano talmente compromessi da essere bianchi. Si sentiva soffocare, continuava a sfilarsi il casco, l’hanno portato via”.
Per Stefano l’inizio del precipizio è avvenuto a metà ottobre, con il sopraggiungere di un po’ di febbre seguita dalla tosse. Il 17 è arrivato l’esito del tampone: positivo. Il 24 il saturimetro è sceso sotto la soglia critica di 90. La polmonite era in stadio avanzato, lui però non se ne era reso conto.
“Sono molto sportivo, anche con l’ossigenazione bassa camminavo, parlavo”. Alle 20.30 del 24 ottobre Stefano è arrivato da solo in automobile in ospedale, oltre la soglia del Pronto soccorso. «Sembrava di stare in un ospedale di guerra. Lì ho conosciuto Mariano. Insieme abbiamo visto i pazienti morire, sentito urla strazianti, osservato il personale che si faceva in quattro per soccorrerci. Dopo una settimana lui è stato spostato d’urgenza in reparto. Quando sono arrivato io, lui non c’era più».
“Il dolore se condiviso si dimezza. La gioia se condivisa si raddoppia. (San Tommaso)
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