Depressione. Esiste malattia peggiore?
11 Aprile 2021Depressione. A mio avviso non c’è niente di più brutto, sofferente, che porti alla disperazione quanto la depressione. Ne soffro da più di vent’anni e mi considero un’eroina per esserle sopravvissuta, visto che i suicidi per questa patologia sono aumentati esponenzialmente negli ultimi anni.
Voglio condividere con voi un brano del mio prossimo romanzo, inedito, che credo spieghi bene quali orrende sensazioni la depressione porta.
L’ascensore
Cap.1
Inferno
“Lasciate ogni speranza, oh voi che entrate”. Se mai qualcuno mi avesse descritto l’inferno, al di là della magistrale esposizione dantesca, di fronte la quale m’inchino, pur considerandola troppo distintamente, se pure sontuosamente letteraria, se qualcuno mi avesse parlato dell’inferno, rappresentandone ogni minimo particolare, mai e poi mai avrei pensato a tanto orrore.
Le pene fisiche, cui siamo naturalmente abituati a pensare, probabilmente proprio per l’opera di Dante, sono micidiali. Le fiamme che ardono, le conseguenti ustioni, le piaghe; ogni cosa risulta insopportabilmente dolorosa. Ma le sofferenze dell’anima, quelle sono tutt’altra storia e ritengo che nessuno, neanche il più grande tra pittori, scultori, poeti o scrittori, riuscirebbe a darne una pur vaga idea.
Dormo quasi ininterrottamente da una settimana circa. Quando mi sveglio, l’intorpidimento dei pensieri mi consente di stare in piedi. Si fa per dire. Sto accasciata sul divano o, a fatica, seduta su una sedia.
Il primo caffè, la prima sigaretta. Sollievo. Grande cosa il caffè. Eccellente droga la nicotina, tanto più perché è legalizzata e non necessita di ricetta medica.
Secondo caffè ed altra sigaretta. Paura. Il cervello inizia a funzionare, si sveglia piano dal torpore del sonno indotto. Si aprono gli spazi vuoti della mia esistenza. Inizio con i decaffeinati, per far sì che il tempo passi. Grandiosa invenzione il decaffeinato. Ti regala il piacere del gusto, ma con solo il trenta per cento di sostanza eccitante. Il primo deca, la terza sigaretta. Il secondo, la quarta sigaretta. Non funziona. Il tempo passa, ma l’attività cerebrale ha ripreso in pieno il proprio lavoro ed il senso di smarrimento si sveglia totalmente con essa, a non darmi tregua. A parte ciò, mi è impossibile mettere insieme pensieri sensati. Non ho capacità nelle mani, che tremano forte, tantomeno nelle gambe. Tento di camminare, ma è un oscillare che suscita pietà persino a me stessa.
Non mi lavo, da circa una settimana. Ho addosso una vestaglia che ancora non riesco a detestare perché rappresenta un specie di protezione tra me e il mondo.
È il due di gennaio. Il sole batte forte sulla cittadina della bassa Calabria dove la presenza di mia madre mi ha portato a trascorrere le feste natalizie e anche il Capodanno. Sembra un cuore impazzito, questo sole ed il suo calore è più potente dei riscaldamenti accesi in casa. È bello, questo sole, dovrebbe dare allegria. Io non esco dalla mia vestaglia, dunque lo vedo solo dai terrazzi di casa. Ma mi fa stare ancora peggio. Non riesco a goderne, così come non riesco a trarre piacere dal verde rigoglioso del giardino che circonda la casa.
E poi c’è il mare. Il mio elemento, da sempre, la passione incondizionata della mia vita di fronte cui anche l’amore più grande per un uomo o per un bambino passa in secondo piano. Solo vederlo, tutto quell’immenso e sfacciato azzurro, quando sto bene, mi riempie il cuore. Gioia, emozione, eccitazione quasi. Per non parlare di quando mi ci immergo e tutti i pensieri si sfocano, fino a svanire. Rimango sola con quel miracolo della natura.
Ora non riesco neanche a guardarla, questa sterminata distesa azzurra che compare al di là del verde degli alberi. Fa troppo male rimanere indifferente.
Fa male anche guardarmi allo specchio. Ne sto distante e quando mi vedo, solo di striscio, scorgo una sorta di scheletro del colore di una salma. Ma c’è sempre la vestaglia a proteggermi.
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