Depressione, liberiamoci dalla vergogna
7 Marzo 2016La prima sensazione che ho provato quando ho ammesso con me stessa di essere depressa, anni fa, è stata la vergogna. Vergogna, sì, come se avessi rubato o fatto qualcos’altro d’illecito. Temevo più che altro il giudizio di mio padre, che ha sempre preteso da me la perfezione e sapevo quanto mi avrebbe giudicata debole.
La vergogna, che, col tempo, ho scoperto essere comune tra molte persone che soffrono di questo mostro di malattia, deriva non certo dalla depressione stessa, ma dall’ignoranza generale, intesa come non conoscenza.
Addirittura ci sono ancora medici convinti che con la volontà si supera qualunque malessere di origine psicologico.
Addirittura mio padre, uomo di cultura sconfinata e non riconosciuta solo da me, pensava che dire di essere depressi fosse una specie di autogiustificazione per una sorta d’indolenza subentrata all’improvviso.
Ora, con enorme soddisfazione, vedo che l’argomento viene trattato quasi quotidianamente da alcuni organi d’informazione. L’Huffington Post dedica alla depressione quasi uno spazio al giorno. Forse arriveremo a liberarci della vergogna. Forse inizieremo a sentirci dei malati, al pari dei diabetici.
Si può dire che non abbia mai fatto realmente pace con la mia patologia, perché essa è talmente subdola ed insidiosa che, se pure in modo lieve per i farmaci che prendo e la psicoterapia che faccio settimanalmente, a volte lei torna, più forte di me. Cosa che, credo, non accetterò mai. Ho imparato, però, a gestirla, a domarla. Certo non potrei mai neanche accarezzare l’idea di ridurre i farmaci o, tanto meno, sospenderli, ma di questo mi sono fatta una ragione. Manderei giù anche una farmacia intera pur di non ricadere in quel vortice infernale, che chi ha la fortuna di non aver mai provato, non riuscirà mai a capire fino in fondo.
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