Elena Ferrante candidata allo Strega. Più nome che sostanza. Saviano complice dei poteri forti?
3 Marzo 2015Come ho potuto non accorgermi di un’autrice italiana così forte? Io, che in libreria ci passo le ore alla ricerca spasmodica di qualcosa di nuovo che sia degno, anche solo lontanamente, di regalarmi ciò che, ancora, mi danno solo i classici? Come ho potuto non accorgermi di un libro così ben scritto da far urlare al miracolo la critica di tutto il mondo? Io, che ho scoperto un’autrice come Alice Munro l’estate prima del Nobel per la letteratura a lei assegnato? Mi sono chiesta tutto questo, quando ho letto che Saviano era intenzionato a candidare “L’amica geniale” di Elena Ferrante al premio Strega. Sono andata addirittura in libreria, con l’intenzione di comprare qualcosa di suo. Ma non l’ho fatto. Ho dato un’occhiata alle quarte di copertina, sfogliato un po’ i volumi, ma qualcosa mi ha trattenuto dal farlo. Forse per l’idea che c’è un che di non chiaro nel suo desiderio di restare nascosta, forse per il sospetto che si tratti di un’operazione commerciale studiata a tavolino e realizzata a quattro, sei, forse otto mani, ma non ho comprato niente di suo.
Poi, rientrata a casa, mi sono resa conto di avere il suo ultimo libro nella mia libreria. Dunque l’istinto, ancora una volta, mi ha assistito, ho pensato. Ma allo stesso modo, forse l’idea che mi sono fatta è fondata, visto che quel volume, “L’amica geniale”, quarto ed ultimo della serie “Storia della bambina perduta”, stava lì da chissà quando e mai avevo trovato l’impulso per leggerlo. Forse, ma gli impulsi non rappresentano fatti. E, soprattutto, io non sono nessuno per decretare cosa sia, o meno, degno di essere letto. E allora ho iniziato a parlare di questo libro e della sua ipotetica autrice con lettori abituali, quelli da cui accetto consigli e con i quali condivido impressioni. Persone, tutte, di cultura medio alta, non necessariamente per gli studi fatti. La mia idea è rimasta quella che avevo.
Ma perché, allora, se proprio devono giocare facile, non candidare il vincitore del premio Campiello Opera prima 2014, Stefano Valenti, che, con il suo “La fabbrica del panico” tocca livelli di lirismo davvero sorprendenti? Pronta la risposta: perché Valenti ha già la detentrice maggioritaria dell’editoria alle spalle, Feltrinelli, che, non dimentichiamo, è l’unico editore in grado di fare concorrenza a Mondadori-Rcs, alias famiglia Berlusconi, che detiene il 40 per cento del settore.
Nel caso della Ferrante, l’impressione che l’attenzione sia suscitata più da quel nome probabilmente inesistente, che da ciò che scrive, si fa sempre più concreta. Complice l’ultimo dato, che, cioè, Saviano, colui che ha fatto della propria esistenza una crociata contro l’illegalità, già, proprio lui, abbia candidato allo Strega questo libro. Aggiungendo, naturalmente, una piccola nota polemica riguardo al premio stesso, sostenendo che sia una sfida di potere. Saviano, si sa, senza polemica non sa vivere. Ma soprattutto, mi chiedo, lui, Saviano stesso, adesso, cosa rappresenta, se non il potere?
Al netto dei fatti, della letteratura italiana, che diventa sempre più solo un ricordo, del monopolio editoriale, che fa sì che, nelle classifiche dei più venduti, figurino nomi come Fabio Volo, l’amarezza è tanta. Perché, anche adesso, nel nostro paese che rappresenta un faro nel campo letterario, il paese in cui il romanzo moderno ha avuto inizio, il paese di Svevo, dunque, ma anche di Dante, di Leopardi e la lista sarebbe infinita, esistono ancora i talenti. Peccato solo che tutto avvenga come negli altri campi: non va avanti il migliore, ma solo quello con più agganci. Triste, ma vero. E, quando si dice che la letteratura italiana è morta, non è esatto. Vive ancora, è solo nascosta.
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