Eutanasia, per vivere liberi fino alla fine
14 Aprile 2017Davide Trentini è morto ieri in Svizzera dove era stato accompagnato da Mina Welby per ottenere l’eutanasia. L’ultimo messaggio: “Spero tanto che l’Italia diventi un paese più civile”
Aveva 52 anni, era malato di sclerosi multipla dal 1993. “Per i primi anni – scrive lui stesso nella lettera di addio a questo mondo – in forma più tollerabile, poi, la ‘stronza’ si è trasformata nella forma ‘più stronza’: la secondaria progressiva. Negli anni, le ho provate veramente tutte, dall’interferone, prima quello settimanale, poi quello che mi auto iniettavo (allora le mani funzionavano!) ogni due giorni, poi è cominciato l’orribile periodo della chemio!’
Davide Trentini ha tentato davvero in tutti i modi di rendere tollerabile quella malattia, che lui chiama “la stronza”, che lo aveva ridotto a diventare l’ombra di se stesso ed a trascorrere le giornate, prive di prospettiva, in preda a dolori lancinanti, nonostante le pillole contenenti oppio.
Poi non ne poteva proprio più di quella che poteva definirsi sopravvivenza e lotta quotidiana contro il dolore, più che vita. Così, scrive “dopo una lunghissima riflessione, ho deciso di andare in Svizzera per il suicidio assistito”. L’ultimo, sinora, di una serie di viaggi verso la dolce morte, che chi soffre e non ne può più di “vivere”, è costretto ad affrontare, perché in Italia la legge vieta l’eutanasia.
Eppure “siamo stati scaraventati su questo mondo senza che nessuno chiedesse il nostro parere, perché, poi, deve essere così difficile abbandonarlo?” scrive qualcuno di cui, in questo momento, non ricordo l’identità.
“Spero tanto che l’Italia diventi un paese più civile, facendo finalmente una legge che permetta di porre fine a sofferenze enormi, senza rimedio, a casa propria, vicino ai propri cari, senza dover andare all’estero, con tutte le difficoltà del caso, senza spese eccessive”. È quanto scrive ancora Davide nella sua lettera, non dimenticando di “ringraziare enormemente l’Associazione Luca Coscioni, che ha fatto una raccolta fondi per aiutarmi nella spesa, e soprattutto Marco Cappato, sempre pronto ad aiutarmi anche dal punto di vista umano”.
Dal punto di vista umano. Perché tenere in vita coattivamente una persona che soffre e della vita non vuole più saperne, non perché non la ami, ma perché non gli è più possibile apprezzare nulla che sia scevro da dolori e sofferenze, non è umano, non è civile. Sarebbe ora che la politica del nostro paese lo capisse, ponendo fine alla barbarie di costringere queste persone ad andare all’estero per trovare la liberazione da un’esistenza che, a volte, si trasforma in prigione.
Speriamo, dunque, insieme con Davide, “che l’Italia diventi un paese più civile”, mentre a lui diciamo: buon viaggio, verso non sappiamo dove, ma lì, in un posto in cui sicuramente il dolore non sarà più il tuo unico, fisso, ineliminabile compagno.
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