Referendum costituzionale, votiamo NO
15 Marzo 2016Tra i vari pasticciacci brutti di questo governo, con la g minuscola, forse il più nocivo alla democrazia e più pericoloso per le certezze acquisite dai cittadini è la riforma costituzionale firmata Boschi. La bella addormentata non avrebbe fatto male ad intraprendere un’altra carriera, magari, perché no, affarista o faccendiera come suo padre, perché, in fatto di politica, è totalmente ignorante. E non è la sola, in questo governo, anzi chi lo guida ne è l’esempio più lampante.
Venendo al dunque, ai motivi per cui votare NO al referendum costituzionale, cito chi, sicuramente, è un maggiore conoscitore della politica della sottoscritta e di molti altri, ossia Gustavo Zagrebelsky, che, dalle pagine del Fatto quitidiano, spiega, in vari punti il motivo del NO.
Punto 1 – Gli italiani, in grande maggioranza, si sono espressi nel referendum di dieci anni fa, analogo a quello che ci viene proposto oggi. Hanno respinto quel referendum.
Punto 2 – A chi dice “Ce lo chiede l’Europa” e tace della famosa lettera Draghi-Trichet, che chiede riforme istituzionali limitative degli spazi di partecipazione democratica, esecutivi forti e parlamenti deboli, in perfetta consonanza con ciò che significano le “riforme” in corso nel nostro Paese, il politologo replica: qual è l’Europa alla quale volete dare risposte?
Punto 3 – I promotori del sì diranno che le riforme servono alla “governabilità”. Zagrebelsky spiega che “Governabile” è chi si lascia docilmente governare ed aggiunge: “chi si deve lasciar governare e da chi? Noi pensiamo che occorra “governo”, non governabilità, e che governo, in democrazia, presupponga idee e progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno. In assenza, la democrazia degenera in linguaggio. Questa è la governabilità. A chi dice “governabilità” noi rispondiamo: partecipazione e governo democratico.
Punto 4 – “Diranno: ma la riforma è pur stata approvata dal Parlamento, l’organo della democrazia.
Ma noi diciamo: quale Parlamento? Il Parlamento illegittimo, eletto con una legge elettorale obbrobriosa, dichiarata incostituzionale, per l’appunto, per essere antidemocratica. La Corte costituzionale ha bollato quell’elezione come una specie di golpe elettorale, per avere “rotto il rapporto di rappresentanza”. Ma è chiaro a tutti coloro che hanno ancora un’idea seppur minima di democrazia che da quella sentenza si sarebbe dovuto procedere tempestivamente, per mezzo d’una nuova legge elettorale conforme alla Costituzione, a nuove elezioni, per ristabilire il rapporto di rappresentanza.
Punto 5 – Parleranno di atto d’orgoglio politico dei parlamentari, finalmente capaci di “autoriformarsi” senza guardare al proprio interesse. Noi parliamo – specifica il politologo – piuttosto di arroganza dell’esecutivo. Queste riforme sono state avviate dall’esecutivo con l’impulso di quello che, per debolezza e compiacenza, è potuto essere per diversi anni il vero capo dell’esecutivo, il presidente della Repubblica (ultimamente scelto dal non eletto presidente del consiglio dei ministri, ndr); sono state recepite nel programma di governo e tradotte in disegni di legge imposti all’approvazione del Parlamento con ogni genere di pressione (minacce di scioglimento, di epurazione, sostituzione dei dissenzienti, bollati come dissidenti), di forzature (strozzamento delle discussioni parlamentari), uso inappropriato della fiducia, aggiungo, di trasformismo parlamentare (passaggi dall’opposizione alla maggioranza in cambio di favori e posti). Questo non è il primato della politica, ma delle minacce e degli allettamenti. Se volete parlare di politica, dice chiaro Zagrebelsky, noi diciamo: sì, ma sapendo che è mala politica.
Punto 6 – S’inorgogliranno (cosa che gli viene tremendamente semplice, ndr) chiamandosi “governo costituente”. Noi diciamo che il “governo costituente”, in democrazia, è un’espressione ambigua. Sono i governi dei caudillos e dei colonnelli sud-americani, quelli che, preso il potere, si danno la propria costituzione: costituzione non come patto sociale e garanzia di convivenza ma come strumento, armatura del proprio potere. I governi, poiché sono espressione non di tutta la politica, ma solo d’una parte di essa, devono stare sotto la Costituzione, non sopra come credono invece di stare d’essere i nostri riformatori che si fanno forti dello slogan “abbiamo i numeri”, come se avere i numeri, comunque racimolati (e qui si aprirebbe un dibattito di pagine e pagine, ndr), equivalga all’autorizzazione a fare quel che si vuole.
Chiedo scusa a Zagrebelsky, ma per motivi di sintesi, vado al dunque: Diranno che non c’è da fare tante storie, perché, in fondo si tratta d’una riforma essenzialmente tecnica, rivolta a razionalizzare i percorsi decisionali e a renderli più spediti ed efficienti. Noi diciamo: altro che tecnica! È la razionalizzazione d’una trasformazione essenzialmente incostituzionale, che rovescia la piramide democratica.
Diranno che siamo come ciechi conservatori che hanno paura del nuovo, anzi del “futuro-che-è-oggi”, e sono paralizzati dal timore dell’ “uomo forte”. Noi diciamo che non ci interessano “riforme” che riforme non sono, ma sono “consolidazioni” dell’esistente: un esistente che non ci piace affatto perché portatore di disgregazione costituzionale e di latenti istinti autoritari. Questi istinti non si manifestano necessariamente attraverso l’uso esplicito della forza da parte di un “uomo forte”. Questo accadeva in altri, più primitivi tempi. Oggi, si tratta piuttosto dell’occupazione dei posti strategici dell’economia, della politica e della cultura che forma l’ideologia egemonica del momento. Questo è ciò che sta accadendo manifestamente e solo chi chiude gli occhi e vuole non vedere, può vivere tranquillo.
Ringraziando Zagrebelsky per l’eccellente lezione di politica e democrazia ed il Fatto Quotidiano, che l’ha pubblicata, concludo affermando che votare sì a questo referendum sarebbe non solo da folli, ma darebbe il Paese e quel che resta della democrazia in mano ad un governo incapace ed inetto, che, se avesse anche solo un briciolo di dignità e cultura politica, avrebbe, già da tempo, fatto un passo in dietro. Votare NO equivale a farglielo fare, questo passo, nella speranza di un ritorno alla democrazia e ad un’Italia ancora degna di esser chiamata Repubblica democratica.
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