Un uomo piccolo piccolo
22 Gennaio 2015Da “Una finestra sul mondo”
(Un assaggio)
Irene cammina da sola per le strade della città. Sono le 10 di sera, ma il centro è ancora pieno, di turisti soprattutto. Grandi comitive di vario genere e razza. Ridono, chiacchierano, bevono le loro birre in bottiglia, guardano e commentano le vetrine.
Irene li guarda e sorride, di un sorriso amaro, perché, mani nelle tasche del suo piumino nero, capelli in disordine, senso atroce di pesantezza alla testa, nessuna voglia di tornare a casa per il terrore di piombare in stato vegetativo, avverte un senso di disgusto per sé stessa. Per quello che è stata fino ad ora. Orrore, vergogna, schifo di se stessa. Si è mischiata con gente assurda, che, ora, a mente lucida, considera degna neanche di allacciare le scarpe di un barbone. E’ orribile sentirsi così, ma forse, pensa, in qualche maniera, sano, perché magari sensazioni come questa la spingeranno a non commettere gli stessi errori.
E’ da sei mesi, sette, forse otto, che Irene è una persona diversa. Finalmente è, interiormente e caratterialmente, quello che appare. E’ una ricercatrice scientifica, Irene. Ha passato la propria esistenza a forgiare il suo cervello, mentre, non sa perché, faceva scempio del suo corpo, lo dava via, con la speranza che qualcuno lo volesse per sempre.
“Dovevo arrivare a 38 anni per maturare o, forse, avevo bisogno di toccare il fondo?” si chiede ora, mentre i passanti, resi alticci dalle birre, le sorridono in modo accattivante e lei, pur ricambiando il sorriso, per una innata tendenza alla gentilezza e al non dispiacere il prossimo, abbassa gli occhi.
“La seconda, direi – pensa intanto – Il fondo l’ho toccato, fidandomi di una persona che, ora so, mi ha utilizzata per scopi non esattamente nobili. Avere un orgasmo libero per gli uomini è una delle cose più belle, mi ha detto un amico qualche giorno fa. E lui con me l’ha fatto più volte, godendo liberamente senza pensieri, godendo al punto da gemere come mai mi era capitato di sentire, godendo tanto da mettermi incinta, dicendo di volermi sposare, ma ben sapendo che non avrebbe mai potuto rendermi felice”.
Continua a camminare, senza meta, Irene. Cammina perché sa che la stanchezza fisica le concederà un po’ di tregua dai suoi pensieri, una volta toccato il letto. “Poverino – pensa Irene – me l’ha detto dopo, ma molto dopo, che sapeva di non potermi rendere felice, appena prima di trovare il coraggio di dirmi che non mi amava più”. Ora sorride da sola e sussurra a voce bassa: ”Come se mi avesse mai amata”.
Un uomo distinto, sui 50 anni, le si avvicina con circospezione, chiedendole se ha bisogno di qualcosa.
“La ringrazio, va tutto bene – risponde Irene – va tutto benissimo, grazie per il suo interesse”. Intanto pensa brutto maiale schifoso, se hai voglia di scopare vai da un’altra parte, io non sono interessata.
L’uomo, in giacca, cravatta e impermeabile, il tutto d’impeccabile eleganza, capelli sulle spalle, leggermente brizzolati, non si scoraggia.
“Posso offrirle qualcosa da bere?”
“No, la ringrazio, sono astemia. Grazie davvero”.
Accelera il passo, Irene, mentre la sua bocca si apre sempre più in un sorriso, pensando a cosa è in grado d’inventare il genere umano per togliersi da un impiccio, per tirarsi via da una situazione che non desidera. Lei addirittura, che non dice mai bugie e che adora bere, anche se solo vino rosso, ha appena affermato di essere astemia. La sua bocca si richiude in un’espressione contrita, amareggiata, un po’ disgustata, quando torna ai suoi pensieri.
“Allora diceva di amarmi e di volermi sposare. Mi aveva anche messo al dito un anello con tre brillanti, talmente brutto e cafone, che l’avrò messo due volte in tutto. Allora sono io che ho sbagliato. Non è una domanda, né una riflessione, è un’ammissione. Perché, dopo essermi rifiutata per 30 anni di vivere con qualcuno, con lui l’ho fatto, senza neanche rendermene conto, nonostante i dubbi sulla persona siano iniziati già dopo un mese dall’inizio della frequentazione”. I pensieri sono sempre più incalzanti, tanto da spingerla a chiamare un taxi per evitare che qualcun altro, vedendola così persa in se stessa, possa pensare che sia brilla e tentare di abbordarla.
“Via Paisiello numero 12, per favore, Parioli” dice secca al tassista, che parte immediatamente, così come immediatamente ripartono i suoi pensieri.
“Persona dolcissima in apparenza, che faceva il suo comodo in modo talmente garbato da non farmi mai perdere abbastanza la pazienza. Persona considerata seria in tutto il suo, ristrettissimo a dire il vero, ambiente di paese e provincia e albergatori e baristi e gelatieri e gelatai e banchieri e commercialisti. Quando l’ho presentato a mio padre, lui non ha avuto il coraggio di disapprovare apertamente, convinto, com’era, che ognuno, nella vita, debba fare le sue scelte. Ma gli leggevo negli occhi un’amarezza, un dispiacere, una delusione. Non parlava, ma io leggevo nel suo cervello. Perché, si chiedeva, una figlia che considero intelligente, sensibile, profonda, una professionista avviata, seria, ha scelto un uomo piccolo piccolo come questo?”
Aveva voluto far finta di niente allora, Irene ed ora, come sempre, si ritrovava a dargli ragione, a prendere per oro, come avrebbe dovuto fare da subito, le parole di un uomo che non poteva temere confronti. Era un uomo speciale, suo padre, di un’altra generazione. E ora sa bene che soffre con lei per i suoi sensi di colpa. Suo padre non avrebbe mai lasciato sola l’unica donna della sua vita, sua madre, nei momenti di maggior bisogno. Cosa che questo piccolo essere ha fatto, quando, rimasta incinta, Irene si è ritrovata con brutte analisi in mano, perdite di sangue, dolori al ventre, ospedali e niente altro.
“Sono 13 euro, signora”
La voce del tassista la riporta al presente. Paga, saluta, scende dall’auto e, sorridente, apre il portone che dà al suo palazzo. Arrivata nel suo bell’appartamento, dopo essersi data una rinfrescata, si guarda allo specchio e si trova di nuovo pulita, come da tempo non succedeva. “Grazie papà – pensa – mi illumini anche senza parlare e a distanza di mesi. Il marcio non è in me, era in lui. Ho sbagliato, sì, a dargli quella disponibilità che tu mi contestavi. Ma il marcio era in lui”.
Si poggia sul suo bel letto e si addormenta, serena, come non si sentiva da anni.
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