Violenza donne. Quando bipolarismo o semplice egoismo mettono in pericolo una vita
15 Dicembre 2017Violenza donne. Condivido con voi la storia di una donna, vittima di violenza, più psicologica e verbale, che fisica, la quale mi ha scritto chiedendo aiuto e consigli. Io ne chiedo a voi
Violenza donne. “Mi sento luridamente sporca ed in colpa per quanto accaduto”. Inizia così, Laura, nome di fantasia, a raccontarmi la sua incredibile vicenda, durata circa tre mesi, ma capace “di sconvolgermi l’esistenza. E quel che è peggio è che continuo a provare pietà per lui”. Questo “lui”, che chiameremo Leonardo – è stata la protagonista di questa storia a chiedermi di non fare nomi reali – soffre di depressione bipolare, curata, a suo dire, con farmaci e supporto psicoterapeutico.
“Tutto poteva sembrarmi – continua Laura – fuorché una persona affetta da disturbi mentali. Era solare, sempre allegro, tranquillo, si adattava ad ogni ircostanza con serenità. L’ho conosciuto per puro caso, una mattina di domenica, mentre mi riposavo su una panchina dopo aver corso per un’ora. Iniziammo subito a parlare, cosa per me insolita: normalmente non attacco bottone con uomini che non conosco. Ma con lui fu tutto talmente naturale, che non avrei potuto fare diversamente. Così come naturale fu dargli il mio numero di telefono, quando me lo chiese.
Passarono diverse settimane prima che riuscissimo a darci un appuntamento. Alla fine, però, accadde. Mi presentai nella mia forma peggiore: tuta da ginnastica, coda ai capelli, occhiali: non pensavo a lui come ad un uomo, semplicemente un essere umano con cui scambiare due chiacchiere. Da lì iniziò tutto, perché le chiacchiere si moltiplicavano di minuto in minuto e poi venne il contatto fisico: gradevole, niente di sconvolgente. Fatto sta che, pian pianino, Leonardo iniziò a mettere radici in casa mia. La cosa all’inizio era piacevole, non avevo una relazione stabile da anni”.
Purtroppo per Laura, però, Leonardo non era così serafico come apparve a lei inizialmente e lo sperimentò sulla propria pelle. “Dopo circa due mesi di convivenza, iniziò a dare segni evidenti di mancanza di equilibrio. Se qualcosa, nella sua testa, non andava per il verso giusto, un’ira furibonda prendeva il posto della sua personalità. Tentai di passar sopra ad ognuno di questi episodi, perché, pur consapevole che non sarebbe potuta andare avanti, non riuscivo a metterlo alla porta, avevo pena per lui. E ne ho tutt’ora, anche dopo l’esplosione finale: mi picchiò brutalmente, ma questo è un dettaglio. Ciò che mi fece più male fu l’aggressione verbale da parte di una persona che avevo accolto in casa e si era come trasfigurata nel giro di pochi giorni. Dalla sua bocca uscirono parole così offensive, che non seppi come reagire, temevo di farlo infuriare ulteriormente”.
Quest’uomo scomparve dalla vita di Laura, in concreto, con la stessa velocità con cui ci era finito. Ma… “iniziò a chiamarmi ossessivamente dopo dieci minuti da quella tragedia, dalla quale non sapevo se sarei uscita incolume. Telefonate, messaggi, io, ovviamente non risposi mai più e ringrazio Dio per avermi dato la forza di pensare a me stessa, prima di tutto, prima anche che alla sua malattia non ben curata. Ne presi le dovute distanze e credo di essermi salvata grazie a quel briciolo di egoismo che mi sono sforzata di avvertire, ogni qual volta lui mi chiedesse aiuto, o, semplicemente, un incontro per una chiacchierata.
Settimane dopo, quando ancora Leonardo non aveva smesso di cercare contatti con me, seppi, casualmente, che l’uomo con cui avevo avuto l’ultima relazione, prima di lui, aveva avuto una bimba. Mia sorella andò su tutte le furie, per via dei tre aborti spontanei consecutivi, nel giro di solo un anno, che avevano fatto andare in malora la storia, complice, non in secondo piano, il fatto che lui mi avesse, tutte e tre le volte, lasciata sola. Così, come se ciò che avevo in grembo, appartenesse solo a me.
Fu allora che compresi che, al mondo, esistono persone da alcuni definite ‘vincenti’ e ‘perdenti’, da qualcun altro ‘egoiste’ e ‘ipersensibili’. Per quanto la mia ipersensibilità mi abbia accompagnato per 40 anni di vita e continui a farmi soffrire, tuttora, se c’è una cosa che mi rende felice è proprio far parte della seconda categoria, con tutte le conseguenze che ciò comporta”.
Non penso di poter aggiungere altro. Le parole di Laura mi hanno commossa. E non poco. Le ho risposto con i miei consigli e le mie riflessioni, ma non sono sicura siano indovinati. Perché, quando la sofferenza è così tanta… “Provate a calzare le mie scarpe, indossare i miei vestiti e percorrere la strada che io ho fatto sin qua. Poi potrete giudicare”, diceva qualcuno. Qui i giudizi, dunque, sarebbero poco opportuni, ma ogni consiglio risulterebbe estremamente gradito. Non per me, per la protagonista di questa storia di dolore e sofferenze… per Laura…
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