Se questa è vita
7 Giugno 2016Oggi dovrebbe essere un giorno particolarmente felice per me. Il 7 giugno lo è sempre stato. In realtà, questo è il terzo 7 giugno che vivo senza papà, il secondo senza zio Dino. Zia Amelia, non ne parliamo nemmeno… Non ho accanto alcune delle persone che amo di più, mia sorella Claudia in primis.
Molte, però, le ho qui, vicine a me e mi commuove il modo in cui stanno tentando di farmi sentire una regina. La cosa che mi ha emozionato più di tutte è stata una rosa regalatami da Lucia, la ragazza che ci aiuta a mantenere la casa pulita ed in ordine. Quanto a me, ringrazio la forza superiore che sta su noi tutti, che alcuni chiamano Dio, altri destino, altri ancora natura, perché mi ha regalato un 7 giugno di benessere e relativa serenità.
La felicità, quella sarebbe troppo, soprattutto perché soffro del dolore di un caro amico, che ha appena perso sua madre ed a cui penso ogni istante. E’ a lui che dedico un racconto inedito, che, per quanto doloroso, spero gli sia utile a capire l’unico aspetto positivo di questa tragedia.
Al mio amico speciale, R. Ti sono vicina, sempre, anche se non materialmente
Se questa è vita
“La cosa più tremenda delle neoplasie non è il tasso di mortalità. L’aspetto davvero atroce sono le sofferenze che esse portano nello stadio terminale”. Me lo aveva detto, il medico che affianco per il tirocinio in cure palliative e terapia del dolore, il dottor Paolo Gentile, mi aveva avvisata, aveva tentato, in qualche modo, di prepararmi. Ma le sofferenze umane sono cosa cui non si è mai preparati fino in fondo.
-Prego dottore, entrate. Vi offriamo qualcosa?
Ci apre la porta una donna intorno ai quaranta anni, graziosa, ben vestita, truccata con cura, i capelli messi perfettamente in una piega ondulata. Ci fa entrare in un grande soggiorno, ben arredato, con vista sulle campagne ed infine sull’azzurro del mare. Attorno ad un grande tavolo di legno chiaro, un’altra donna, anche lei molto gradevole e due bambini, di circa sei e otto anni. Sul divano, sotto la grande finestra, un uomo magrissimo ed abbronzato in modo forzato, sembra colore da lampada uva, più che di sole. Anche lui è tirato a lucido, come dovesse andare ad una cerimonia: capelli strapieni di gel o Dio solo sa cosa, gemelli ai polsi, anello al mignolo della mano destra, oltre ad una vistosa fede sull’anulare sinistro. Accanto a lui, una donna di dimensioni sproporzionate, sembra sia stata gonfiata da una pompa, più che dalla chemio terapia. Un cappello da cui s’intravede il cranio calvo, un pigiama elegante; ai piedi, calzettoni in tinta, niente altro. Con quel gonfiore non le entrerebbe neanche un quaranta.
-No grazie, niente. Vi presento la dottoressa Laura Schiavi, fa tirocinio per la specializzazione. Signora, allora, come va? Come si sente?
Silenzio
-Dottore, purtroppo mamma non sente più, quasi niente
Paolo si avvicina, si siede accanto a lei, sul divano, vicino vicino
-Signora, come si sente?
-Così dottore – si mette una mano sulla testa – mi fa male la testa
-Tranquilla, signora, ora facciamo passare tutto – poi, rivolto alla donna che ci ha aperto la porta – c’è una cartella clinica?
-Sì, certo. Eccola
Paolo la legge con attenzione, mentre con un gesto, mi fa segno di avvicinarmi. Quello che leggo mi dà conferma dell’impressione iniziale. Direi ad occhio che la paziente non supererà il mese. Leggendo, ne ho conferma.
-Beh – dice Paolo – la situazione sembra buona, nel senso che la malattia si è cronicizzata a questo stadio. Signora, tranquilla – dice avvicinandosi di nuovo a lei. Le stringe la mano – Ci accompagnate sotto? – poi, rivolgendosi ai figli, l’uomo lampadato e la donna che ci ha aperto la porta.
Non ho capito niente – penso. Oppure Paolo è impazzito – non dico una parola, il mio ruolo è quello di osservare ed ascoltare.
Scendiamo le scale e la donna fa per aprire il portone d’ingresso
-Dovrei parlarvi un attimo – dice Paolo
-Certo – dice la donna – usciamo insieme o volete accomodarvi a casa mia, è qui a piano terra
-Forse è meglio, signora
-Prego, certo
Entriamo in un’altra bella casa, arredata con cura e gusto. Sul divano, davanti alla tv, un uomo rubicondo e una bambina sovrappeso, di circa quattro anni.
-Buonasera – dice Paolo – potete lasciarci per qualche minuto per favore?
-Certo – dice l’uomo, mentre spegne la televisione – vieni Maria, andiamo di là
Ci sediamo attorno ad un tavolo
-Allora – dice Paolo – cancellate tutto quello che ho detto prima. La situazione è estremamente grave. Mi sono spiegato?
-Sì – dice la donna – avevo intuito
-Quanto grave – chiede l’uomo lampadato – quanto le resta
-Questo non lo può dire nessuno. Potrebbe morire stanotte, come reggere sei mesi. Il mio obiettivo è solo farla stare meglio, alleviarle ogni sofferenza. E’ invasa dal cancro, ce l’ha dappertutto, ma le cure palliative servono a questo, ad alleviare dolori e sintomi di qualunque tipo
-Ho capito – dice l’uomo
Non ha capito affatto. Ha l’aria di chi sta pensando questo è un incompetente, appena va via chiamo un altro medico. Ma questo si vedrà dopo, vedremo come procede il piano terapeutico, a Paolo interessa poco. Lui ha solo bisogno di illustrare la situazione, la sua etica glielo impone e, per quanto cruda essa sia, lui la mette davanti agli occhi dei familiari dei pazienti, così, nuda e cruda, com’è.
-Come stai – mi chiede Paolo, una volta in auto
-Bene, bene, tranquillo
-Sicura? Non è che ti va giù l’umore? Non è una cosa facile, questa
-Decisamente non lo è. Posso solo dirti che mi fa venire più voglia di vivere di quanta ne abbia mai avuta
-Davvero? – ride
-Sì
-Anche per me è così
Quelle ore, quelle mattine, quei pomeriggi, quel tempo investito per la sua specializzazione, per il suo futuro, scorrevano lisci come l’olio, fra un dramma ed un altro, fra una tragedia familiare ed una sofferenza insopportabile, fra minuti trascorsi in auto a chiacchierare, tempi indefiniti di piacevole vita, resa ancora più viva dalla morte che ci si lasciava alle spalle.
Tutto quell’orrore, già ampiamente studiato, vissuto direttamente su pazienti in carne ed ossa, tutta quella morte sfiorata o toccata, le avevano ridato una voglia di vivere che non avvertiva da tempo immemorabile.
E le ore si accumulavano. Di conseguenza, i giorni ed i mesi. Tutti i santi giorni accanto a quell’uomo, un bravo medico ed attento ascoltatore, oltre che eccellente interlocutore.
-Prego dottore, faccio strada – erano state le uniche parole civili pronunciate, da un uomo che aveva tutta l’aria, già per telefono, poi dal vivo, di non avere niente di civile. Erano a Platì, quel giorno. Paese potenzialmente ridente, non fosse per gli abitanti. Solo musi lunghi fino ai piedi, facce losche, occhiali da sole scurissimi e sigari e braccia fuori dalle auto e teste prive di casco alla guida di moto e motorini.
Li fece accomodare in casa. Quattro metri per quattro: corridoio, una camera da letto ed una minuscola cucina, da cui si accedeva probabilmente al bagno, infuocata da un forno a legna, tenuto acceso al solo scopo di riscaldare l’ambiente. Su una poltrona, in un angolo del minuscolo ambiente, sedeva il malato, il padre dell’uomo che aveva tentato, invano, di mostrare un discreto grado di civiltà. Il malato aveva un’età indefinita, tra i sessanta e i settanta, un cappellino di lana sulla testa, una sciarpa sul collo, fino quasi al labbro inferiore, una fasciatura sulla guancia sinistra, che appariva assai più paffuta della destra.
-Allora come si sente – chiese Paolo
L’uomo iniziò a muovere le labbra ed insieme gli arti e le sopracciglia, ma non si sentiva alcun sonoro
-Va bene, non si sforzi – disse Paolo, avendo compreso la situazione.
Il figlio ci espose il problema fondamentale. L’uomo era stato operato alla trachea presumibilmente, suo figlio non entrò nel merito ed ora nessuno voleva cambiargli la cannula che gli consentiva di respirare.
Paolo chiese di vedere una cartella clinica. Ero seduta alla destra del malato, la moglie gli tolse la fasciatura per far vedere al medico. Ed ecco che venne fuori una protuberanza delle dimensioni di una mela, sanguinolenta e irregolare, che sporgeva in modo impressionante dal profilo.
-Bene – disse Paolo, dopo aver letto con attenzione la cartella – Per la cannula non c’è problema, posso cambiarla io, purché veniate in ospedale.
Il figlio ci accompagnò fuori, fino alla macchina.
-Avete capito come stanno le cose? – chiese Paolo
-Credo di sì, dottore
-E’ molto grave, le metastasi gli hanno invaso tutti gli organi vitali. E’ per questo che nessun medico si prende la responsabilità di cambiargli la cannula. La cosa potrebbe essere fatale.
-Mi prometti una cosa – gli disse Laura, appena saliti in auto
-Dimmi
-Se mi riduco in quelle condizioni, mi fai un’iniezione per farmi morire prima possibile?
-Fai la stessa cosa con me?
Scoppiarono a ridere
*****
Da circa un mese e mezzo Laura aveva sospeso il tirocinio, chiedendo un permesso per malattia, a causa di una forte debolezza di gambe, che spesso le impediva addirittura di reggersi in piedi.
-Non può essere niente di grave – le disse Paolo, durante una telefonata – ma io, fossi in te, farei una total body, così, per fugare ogni dubbio
-Sì, forse hai ragione. E’ da un po’ che ci penso, ma, a te posso dirlo, ho una paura tremenda
-Ma che dici Laura, sei giovane e in piena salute
-No, Paolo, qualcosa non va. Lo so, non è una roba da niente
Il risultato della tac le diede ragione. Adenocarcinoma polmonare non a piccole cellule, con metastasi in tutto l’apparato toracico. Colpo dritto al cuore. Non sapeva come fare per dirlo alla sua famiglia. Si sarebbe inventata qualunque cosa, pur di salvarli da quella notizia, da quella condanna a morte. La sua famiglia era la preoccupazione principale. Suo marito e i suoi genitori. Un pensiero fisso, asfissiante, più del male stesso. Poteva sfogarsi solo con Paolo.
-Dimmi cosa vuoi che faccia ed io lo faccio
-Non lo so, Paolo, so solo che è molto diverso da come lo percepivamo
-Beh, immagino
-No. Non è possibile immaginare, dammi retta, trovarcisi è un’altra cosa. D’altra parte non è possibile immaginare niente se non ci si passa, figurati una cosa così delicata
-Lo so
-Io non voglio morire. Voglio vivere tutto quello che ho da vivere
-Come vuoi. Mi sembra una decisione molto intelligente e saggia. L’intervento vuoi farlo? Il talcaggio, dico
-No. Sai meglio di me che abbrevierebbe il tempo che mi resta. E, soprattutto, ne peggiorerebbe la qualità
-E quindi? Lo sai cosa rischi, no?
-Lo so, cosa rischio. Quello che accadrebbe comunque. Quando sarà il momento, saprò bene cosa fare, non voglio chiederlo a te
-Ma…
No, no, fermati, davvero. Adesso vado a casa, da mio marito, come se niente fosse. Poi, quando sarà, saprà anche lui ed anche i miei genitori. Sicuramente non gli farò passare quello che le famiglie passano in circostanze simili, ma voglio stare con le persone che amo il più a lungo possibile e voglio farlo in serenità.
*****
Due mesi dopo, una mattina, il marito trovò Laura morta nel letto. Non respirava più. Era ancora rosea, esattamente come quando stava bene ed aveva, sul viso, un sorriso accennato.
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