“Follia” e Covid-19
1 Dicembre 2020Sono fragili, spaesati, bisognosi più che mai di stare insieme uno con l’altro, come medici e psicologi gli raccomandano. I malati psichici o psichiatrici che vivono o sono ricoverati a tempo in strutture adeguate hanno vissuto la pandemia come una vera tragedia. Il doversi nascondere dietro una mascherina, l’interruzione dei gruppi di teatro, canto, auto aiuto, sono stati una specie di punizione. Per non parlare del non poter uscire dalla struttura e non ricevere visite dai parenti.
Secondo l’ultima rilevazione del ministero della salute, in Italia le persone assistite dai servizi specialistici perché soffrono di una malattia psichiatrica sono circa 851mila. Nel 2017 quelle che per la prima volta si sono rivolte ai dipartimenti di salute mentale sono state 335mila.
“Essere vivi e malati è una fatica molto più complessa di quanto ci piacerebbe ammettere”, dice Esmé Weijun Wang, scrittrice californiana che soffre di schizofrenia e chi è affetto da patologie del genere, non necessariamente tanto gravi, capisce bene il senso di queste parole.
Nelle strutture psichiatriche lo staff medico e psicologico, dal dilagare della pandemia, è stato costretto a fare il contrario di ciò che faceva al livello terapeutico: distanziare, invece che unire. Con conseguenze devastanti. Laura piange, quando la intervisto, mi dice che “così è disumano. Anche perché non possiamo ricevere visite”. Come darle torto? Due ragazze, molto giovani, hanno tentato il suicidio, per superare l’isolamento, annullare un dolore non sostenibile ed oltrepassando le varie misure di sicurezza che in queste strutture sono d’obbligo.
“Sentivo di non farcela più – dice ancora Laura, ricoverata da tre mesi per una grave depressione – la mia vita è già un inferno. Dover mangiare sola in camera, non poter neanche vedere un film in gruppo era troppo. E non parliamo del fatto di non poter vedere la mia famiglia. Se questa pandemia è stata un disastro per il mondo, per noi, qui dentro, è stata la morte”.
“Non volevo morire, solo smettere di star male e la fine della vita mi sembrava l’unica possibilità” (Danila S. Santagata)
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